Anna e il granchio: il cappellino rosso e l’arcobaleno

Stropicciò gli occhi, stiracchiò le gambe, sbadigliò e si mise a sedere sul letto. Le persiane erano aperte. Fuori il mondo era fulgido, fuori … dentro buio pesto. Erano giorni difficili, di ansia e paura. Il cuore in tumulto le saliva in gola tanto da non riuscire a deglutire. Mangiare era un dolore, certe volte pure bere, ma una bambina nelle sue condizioni lo doveva fare, giusto? Doveva stare a sentire la mamma che le diceva di mangiare, era vitale per lei. A volte presa dallo sconforto aveva pensato di smettere di mangiare. A volte, pensava che poi non sarebbe stato tanto male. Smettere di mangiare le avrebbe permesso di rivedere il suo papà che, non era più con lei e con la mamma. Era salito in cielo. Lei non riusciva a capire come avesse fatto il suo papà a salire in cielo, se era caduto da un impalcatura durante la ristrutturazione di un palazzo, ma così le aveva detto la mamma e lei della mamma si fidava. Quando sentiva la nostalgia del papà e cominciava a non mangiare, perché voleva andare in cielo anche lei, la mamma le diceva che era sbagliato. E che no, non sarebbe andata in cielo. Non riusciva a spiegarselo,forse si doveva buttare di sotto per andare in cielo, ma pure quello era sbagliato, non le avrebbero aperto le porte, diceva la mamma. Che poi, chi c’era alle porte, non l’aveva mai capito e certamente le stava antipatico. Si guardò un po’ in giro, la stanza era perfettamente in ordine:i libri delle favole al loro posto, le foto alle pareti, la foto grande di lei e papà abbracciati e sorridenti al luna Park, le sue bambole che sembravano sorriderle, la scrivania con le lettere che scriveva per il papà, da consegnare a babbo natale, che con la sua slitta le avrebbe portate in cielo dov’era il papà. Era quello il suo regalo di Natale. Lei non aveva chiesto nulla, voleva solo che babbo natale consegnasse la posta per lei, ma la mamma le aveva detto che lui poi ci sarebbe rimasto male, e lei ancora non aveva deciso bene cosa chiedere. Più in la le sarebbe venuto in mente qualcosa. Proprio tutto al suo posto in camera, ma questa mattina c’era una novità. Ai piedi del letto, una sedia, sulla sedia, uno zainetto e un cappellino rosso. Quella novità spaventava tanto Anna, era il primo giorno di scuola.
Anna aveva dieci anni. Non era la prima volta che andava a scuola. Ricordava tutti i suoi primi giorni di scuola, e li ricordava tutti con piacere. Ricordava il primo anno, quando una bambina cicciottella con i ricciolini biondi e gli occhi azzurri, entrò accompagnata dai suoi genitori a scuola. Per l’occasione c’era pure papà che aveva preso un giorno di ferie a lavoro. “fa la brava bambina” le aveva detto papà, poi le aveva stampato un bacio in piena fronte e lei le aveva offerto quel sorriso sdentato. Aveva guardato il papà per un momento che le sembrò troppo lungo, poi gli aveva chiesto: “ma come farete a stare vicini a me se non ci siete? non capisco” . Papà le aveva scompigliato i capelli, aveva sorriso, si era abbassato e le aveva detto “saremo qui sempre, non solo ora”. Poi le aveva poggiato il dito indice sul petto, dalla parte del cuore. Anna l’aveva guardato e sorriso, avrebbe voluto chiedergli, come era possibile una cosa del genere, ma non lo fece. Era una bimba curiosa e piena di domande da fare, come solo i bambini, ma sorrise al padre e si gettò nelle braccia della mamma. Avrebbe capito il significato di quelle parole, qualche anno dopo. Si ricordava di sentirsi spaesata, c’erano tanti bambini e tanto chiasso:risa, pianti, moccoli e tutto il resto. Entrò in classe. una stanza buia, non come la sua cameretta. I banchi erano disposti a zoccolo di cavallo, al centro, la cattedra sembrava il trono di un despota. C’erano lettere giganti alle pareti, l’intero alfabeto. Lei lo conosceva già, sapeva leggere. La mamma le aveva insegnato a leggere le favole. C’era la lavagna, i gessetti bianchi e anche i colorati, le cartine e una croce appesa al muro. Poi c’era il maestro che sembrava un prete. Si accesero le luci al neon e iniziò la sua carriera scolastica. Tornata a casa quel giorno era stata per ore a parlare con la mamma. Era molto entusiasta, non aveva pianto, era stata brava. Aveva colorato, aveva disegnato, aveva scritto, giocato e fatto conoscenza con tanti bambini tutti diversi tra loro e non vedeva l’ora di ritornare.
Ma erano passati degli anni e tutto era cambiato, tutto. Quella bambina entusiasta non c’era più. Non c’era più la bambina cicciottella e non c’erano più i riccioli d’oro. Lì aveva persi nel letto di un ospedale qualche mese prima … prima di tutto, prima che papà volasse.
I bambini non sanno niente di ospedali e malattie, non quelli fortunati almeno. Quel giorno, quando era entrata all’ospedale per un controllo, Anna era rimasta stupita da quanti bambini c’erano. Le sembrava un po’ come essere a scuola, aveva sempre pensato che gli ospedali fossero cose per grandi, per vecchi e non certo per bambini. Lei non se lo sarebbe mai aspettato, ma sapeva di esserci già stata. La mamma le aveva detto che era nata lì, in un luglio caldissimo di nove anni prima, ma lei non se ne ricordava. Segno zodiacale cancro. Quando aveva chiesto al papà cosa fosse il cancro, lui aveva risposto che era un animaletto carino, le aveva regalato un peluche, le aveva detto:”ecco, questo è il cancro, un granchio. Tu sei il mio granchietto”. Anna era super felice di quel regalo. Anna e il granchio le suonava bene, l’aveva subito abbracciato e premuto al petto forte. Anna e il granchio speciale . Il papà si era dimenticato di dirle che il cancro è pure una malattia, e non c’era nulla di bello, nulla di dolce. Il granchio aveva chele, e quelle facevano tanto male. Il suo granchio la stava divorando dall’interno. Un giorno, dal suo letto d’ospedale aveva visto passare fuori la finestra un uccellino. Ne aveva seguito il volo e il volteggiare nell’aria. “sarebbe bello poter volare via da qui” si era ritrovata a pensare. Vedere il mondo da lassù, farsi cullare dal vento, posarsi sui davanzali e guardare nelle stanze dei bambini. Desiderò che l’uccellino si posasse sul davanzale e come per magia lui si fermò. Anna era entusiasta, come anni addietro per il primo giorno di scuola. Guardava l’uccellino con quei suoi occhioni azzurri, lui ricambiava. Un pensiero assurdo s’impossessò di lei “e se avessi un potere speciale? Papà me lo diceva sempre. Sei una bambina speciale. E se desiderando qualcosa riuscissi ad ottenerla?”. Decise che provare non sarebbe costato nulla. Strizzò gli occhi forte e desiderò che l’uccellino scendesse dal davanzale per andarsi a poggiare sulla sua mano protesa verso di lui. “Nelle favole queste cose funzionano” pensò. Ma non successe nulla. L’uccellino la guardò stranito ancora un istante e spiccò il volo. Non sarebbe servito a nulla desiderare che il granchio uscisse fuori dal suo corpo. Quel giorno smise di credere alle favole. Adesso, era lì a guardare quel zainetto, ma ancor di più quel cappellino rosso. Avrebbero riso di lei vedendola con quel cappellino, e avrebbero riso ancor di più se se lo sarebbe tolto. Per un attimo pensò che era meglio andare in ospedale che a scuola. Lì c’erano tanti bambini come lei, non si sarebbe sentita fuoriposto, non si sarebbe sentita diversa. Ma doveva farlo. Si alzò dal letto.
Mentre la mamma l’accompagnava, Anna pensò che era la prima volta che non c’era il papà insieme a loro, s’intristì ancora di più. La mamma le disse che doveva essere forte e lei lo era stata. Le disse che le medicine servivano a far scappare il granchio e lei le aveva prese, ma non le aveva detto che le medicine le avrebbero fatto perdere i capelli, non le aveva detto che le medicine l’avrebbero fatta sentire così stanca. Ma la mamma le aveva promesso che un giorno sarebbe ritornata quella di prima e lei si fidava della mamma. Quasi nel cortile della scuola, iniziò a piovere. Era strano, c’era il sole. Anna non riusciva a spiegarsi una cosa del genere, poi all’improvviso il cielo si tinse di tanti colori. L’arcobaleno. Anna non ne aveva mai visto uno, e chiese alla mamma. Le spiegò che succedeva quando c’erano il sole e la pioggia insieme. Le spiegò che era un gioco di luci. Anna non comprese bene, ma le piaceva quello che stava vedendo.
Arrivò il momento di entrare in aula. La porta era chiusa ed Anna sentiva il cuore in gola. Ne aveva passate tante, tante cose terribili. Adesso c’era un’altra prova da affrontare, si tirò lo zaino sulla spalla, si risistemò il cappellino in testa ed entrò.
Restò sbigottita. Lo stupore le si dipinse sul viso. Sorrise e nello stesso istante, una lacrima solcò il suo viso. In quel momento capì, e immaginò l’arcobaleno dipinto sul suo viso. Il sorriso come il sole, e la lacrima come la pioggia. Tutti i suoi compagni di classe avevano su un cappellino rosso. Distrattamente, tolse il suo. Tutti lo fecero con lei, erano tutti pelati, tutti, proprio tutti.
Sorrise e tutti le sorrisero. “forse le favole esistono” pensò…

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